Circolazione stradale: danni cagionati dalla fauna selvatica
Il tema dei danni cagionati dalla fauna selvatica durante la circolazione stradale ha da sempre animato il dibattito giurisprudenziale.
In particolar modo per lungo tempo la giurisprudenza si è interrogata su quale fosse la norma applicabile e su quale soggetto ricadessero le conseguenze di detti danni: sulle Regioni oppure sulle Province o altri enti.
Fino ad oggi la giurisprudenza di legittimità, a differenza della dottrina, si era orientata pressoché uniformemente in merito alla collocazione della fattispecie all’interno dell’art. 2043 c.c., con le conseguenze sul piano probatorio che ne sarebbero derivate, escludendo per contro l’applicabilità dell’art. 2052 c.c. che pone a capo del proprietario di un animale o di chi se ne serve una responsabilità per danni da esso cagionati.
La natura stessa degli animali selvatici sarebbe stata idonea a giustificare l’applicazione dell’art. 2043 c.c. secondo cui chi cagiona un danno ingiusto per fatto doloso o colposo è tenuto al risarcimento.
Quanto al secondo interrogativo, la frequente delega conferita dalle Regioni alle Province ed avente ad oggetto compiti di gestione e tutela della fauna selvatica, ha visto un susseguirsi di indirizzi contrapposti.
L’orientamento iniziale che riconosceva in ogni caso una responsabilità in capo alle Regioni sulla base del fatto che la delega non far venir meno i poteri di gestione e di tutela della fauna selvatica di competenza delle Regioni, è stato superato progressivamente dal filone di pensiero secondo cui, proprio sul presupposto dell’applicazione dell’art. 2043 c.c., la responsabilità per i danni cagionati dalla fauna selvatica sia ascrivibile all’ente a cui vengono concretamente affidati poteri di amministrazione e gestione del territorio e della fauna a prescindere che detti poteri trovino la loro fonte nella legge o in una delega o concessione.
L’instabilità degli indirizzi giurisprudenziali, in merito - in particolar modo - all’individuazione del soggetto responsabile, ha rischiato di mettere a rischio l’effettività della tutela giurisdizionale come affermato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n.13848 del 06/07/2020 rendendo necessario un ripensamento sul criterio di imputazione della responsabilità per danni da fauna selvatica.
A fondamento del suo revirement la Suprema Corte osserva come dal tenore letterale dell’art. 2052 c.c. non si evinca alcuna limitazione agli animali domestici.
“Il riferimento alla proprietà e all’utilizzazione (quale relazione, come detto, dalla quale si trae una “utilitas” anche non patrimoniale), ha la funzione di individuare un criterio oggettivo di allocazione della responsabilità in forza del quale, dei danni causati dall’animale, deve rispondere il soggetto che dallo stesso trae un beneficio”.
Nel caso della fauna selvatica in particolare sussiste un diritto di proprietà statale che deriva non solo dalla appartenenza di determinate specie di animali al patrimonio indisponibile dello Stato, ma anche dall’essere tale regime di proprietà disposto in funzione della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
Poiché tale funzione si realizza mediante l’attribuzione alle Regioni di determinate competenze normative ed amministrative nonché di indirizzo, controllo e coordinamento sugli altri enti, è alle Regioni che è attribuita la responsabilità ai sensi dell’art. 2052 c.c.
La Corte infine chiarisce che qualora la Regione, convenuta in giudizio per il risarcimento dei danni, ritenga che le misure idonee ad evitare il danno avrebbero dovuto essere adottate da un altro ente, potrà agire in rivalsa senza che ciò però implichi, in relazione all’azione promossa dal danneggiato, un mutamento del criterio di individuazione del soggetto legittimato passivo.