Piante sul confine: si possono raccogliere i frutti dai rami del vicino?
A chi non è mai capitato di raccogliere un frutto dai rami protesi sulla propria proprietà o sulla strada e farsi uno spuntino.
Siamo sicuri che questa condotta sia lecita?
Prima di scoprirlo, merita soffermarsi brevemente su come la legge disciplini la messa a dimora delle piante rispetto ai confini in assenza di regolamenti o usi locali in materia.
L’art. 892 c.c. individua le distanze minime - tre metri, un metro e mezzo, mezzo metro, un metro e due metri - da osservare nel caso di messa a dimora di piante ad alto fusto, di non alto fusto, di viti o siepi vive, di siepi di ontano o castagno o piante simili e da ultimo di siepi di robinia.
La ratio della norma risiede nella salvaguardia del fondo del vicino dalla eventuale diminuzione di luce, aria, soleggiamento o panoramicità.
E’ per questo che dette misure non si osservano qualora insista sul confine un muro divisorio proprio o comune purchè le piante siano tenute ad un’altezza inferiore allo stesso.
Nel caso di violazione delle distanze legali il vicino può esigere dal proprietario della pianta o della siepe la sua estirpazione salvo che ricorrano vincoli paesaggistici o esigenze di interesse pubblico.
Non di rado tuttavia, a creare problemi tra vicini non sono tanto le piante sul confine bensì i rami o le radici che invadono il terreno altrui.
In questi casi entrano in gioco altre regole: il vicino infatti potrà costringere il proprietario della pianta a tagliare i rami protesi sul proprio fondo o, nel caso si tratti di radici “invadenti”, avrà la facoltà di reciderle lui stesso.
E se il vicino trovasse sui rami protesi sulla propria proprietà dei frutti, avrebbe diritto a raccoglierli?
Ecco che torniamo al quesito che ci siamo posti inizialmente.
La risposta è positiva, ma si badi bene: sono previste alcune limitazioni.
Il proprietario del fondo infatti può raccogliere i frutti solo se naturalmente caduti dai rami protesi sul proprio fondo perché è a costui che appartengono ( art 896 c.c.).
Tale disposizione trova fondamento in un altro precetto contenuto nell’art. 821 c.c.: “i frutti naturali appartengono al proprietario della cosa che li produce salvo che la loro proprietà sia attribuita ad altri. In quest’ultimo caso la proprietà si acquista con la separazione”.
Secondo la giurisprudenza maggioritaria, posto che il diritto di proprietà della cosa madre si estende ai frutti naturali, è con la maturazione che il frutto acquista una propria autonomia ed individualità economica dalla madre e diventa separabile da essa (Cass. S.S.U.U. 883/1963).
Da ciò ne deriva che per “caduta naturale” (art 896 c.c.) è da intendersi quella che avviene per maturazione o per causa naturale e non per opera dell’uomo.
Se dunque è legittimo raccogliere i frutti caduti sul proprio fondo, costituisce una condotta illecita la raccolta dei frutti direttamente dalla pianta anche se posti sui rami protesi al di là della recinzione.