Il diritto di abitazione della casa familiare del coniuge superstite
Un tema che per lungo tempo ha animato il dibattito giurisprudenziale riguarda l’estensione alla successione legittima dei diritti di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano riconosciuti espressamente dall’art. 540 c.c. al coniuge superstite in presenza di successione testamentaria.
Si tratta di diritti che vengono ad esistenza automaticamente a seguito dell’apertura della successione senza che il coniuge superstite ponga in essere alcun atto volto al loro riconoscimento.
Prima di addentraci nel dibattito cerchiamo di capire cosa si intende per successione legittima e per diritti di abitazione e d’uso.
La successione legittima (o successione ex lege) opera qualora il de cuius (la persona deceduta) non abbia provveduto anche solo in parte a disporre per testamento delle proprie sostanze.
Detta successione trova la sua fonte nella legge ed è regolata più precisamente dalle norme del Codice Civile, Libro II, Titolo II.
Poniamo il caso – più diffuso - che il de cuius lasci il coniuge e due figli e non vi sia un testamento.
Quale è la quota di spettanza del coniuge superstite?
Come affermato in precedenza nel caso di successione legittima si devono osservare le regole dettate dal Codice Civile il quale nel caso di specie riconosce al coniuge la quota di un terzo dell’eredità (art. 581 c.c.).
La stessa norma disciplina anche il caso in cui il coniuge concorre con un solo figlio.
In tal caso al primo spetterà la metà dell’eredità.
Quanto ai diritti di abitazione e di uso, essi vengono definiti diritti reali di godimento su un bene altrui.
Il diritto di abitazione è un diritto strettamente personale e consiste nel diritto di abitare una casa limitatamente ai bisogni del titolare e della sua famiglia.
Tuttavia nella successione del coniuge tale diritto assume un’accezione particolare in quanto non trova la sua ratio in esigenze legate al soddisfacimento di bisogni familiari piuttosto in ragioni etico-sentimentali.
Il Legislatore ha infatti voluto in qualche modo preservare la salute psichica e sentimentale del coniuge rimasto in vita.
Riconoscendo a costui il diritto di abitare la casa familiare ha cercato di impedire che al dolore derivante dalla drammatica rottura del rapporto coniugale a seguito dell’evento morte si aggiungesse la sofferenza derivante dal distacco dal luogo degli affetti.
Il diritto d’uso, strettamente correlato al diritto di abitazione, invece attribuisce al titolare la facoltà di servirsi di un bene limitatamente ai bisogni di costui e della propria famiglia e qualora il bene sia fruttifero di raccoglierne i frutti.
Si tratta di un diritto molto simile a quello di usufrutto in quanto consente di trarre da un bene ogni utilità in conformità alla sua destinazione con la differenza che il primo trova un limite nel soddisfacimento dei bisogni del titolare e della sua famiglia.
Entrambi questi diritti reali di godimento non sono cedibili né possono essere sottoposti a sequestro o dati in locazione.
Il dibattito giurisprudenziale sul tema che oggi abbiamo scelto di affrontare ha avuto origine da una norma del codice civile che potremmo definire “discriminatoria”.
L’art. 540 c.c. riconosce al coniuge superstite il diritto di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano nel solo caso di successione testamentaria.
Nulla è riconosciuto espressamente al coniuge superstite nella successione legittima.
L’incomprensibile e diverso nonché più favorevole trattamento riservato al coniuge superstite nella successione testamentaria rispetto al coniuge nella successione legittima ha portato la questione circa l’estensione dell’art. 540 c.c. alla successione legittima fino alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione.
I Giudici riconoscendo che la ratio dei diritti di abitazione e di uso è da individuare in ragioni “etico e sentimentali sul presupposto che la ricerca di un nuovo alloggio per il coniuge superstite potrebbe essere fonte di un grave danno psicologico e morale per la stabilità delle abitudini di vita della persona”, sono giunti ad affermare che “è evidente che la finalità dell’istituto è valida per il coniuge superstite sia nella successione necessaria che in quella legittima, cosicché i diritti in questione trovano necessariamente applicazione anche in quest’ultima” ( S.S.U.U. n. 4847 del 27/02/2013).
Possiamo dunque affermare che al coniuge superstite sono riconosciuti, a prescindere che si tratti di successione testamentaria o legittima, i diritti di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso sui beni mobili che la corredano.
Da ultimo preme un’ulteriore considerazione.
L’art. 540 c.c. riconoscendo tali diritti al coniuge superstite fa riferimento alla casa adibita a residenza familiare ed ai mobili che la corredano “se di proprietà del defunto o comuni”.
Da qui la giurisprudenza si è interrogata sul significato del termine “comune”, se da intendersi come comproprietà del de cuius ed del coniuge oppure di un terzo, e sulla possibilità o meno che detti diritti sorgano anche nell’ipotesi in cui la casa familiare sia in comproprietà del de cuius e di terzi.
Sebbene un orientamento più favorevole dia risposta positiva all’interrogativo, l’orientamento maggioritario e condiviso ritiene che il diritto del terzo, estraneo al rapporto coniugale ed alla successione, non possa essere compromesso dai diritti riconosciuti al coniuge superstite.
A far chiarezza sul punto è stata da ultimo la Corte di Cassazione la quale con più sentenze ha ribadito come il diritto di abitazione della casa già adibita a residenza familiare ed il connesso diritto di uso sui mobili che la corredano sorgano in favore del coniuge superstite solamente se l’immobile era di proprietà esclusiva del de cuius o se si trovava in comproprietà del de cuius e del coniuge superstite.